Per l’estate abbiamo deciso di regalarvi un’edizione speciale di Storie di Adozione. Una nostra famiglia, che ha adottato due bimbi dalla Nigeria, ha costruito un grande tesoro in questi anni: un blog sulla loro adozione. Hanno deciso di donarci qualcuna delle loro preziosissime pagine, per condividerle con tutte voi.

Verso l’adozione

Questo viaggio comincia, in realtà, quasi dalla fine. Siamo Marco e Roberta e abbiamo deciso nel 2008 di avviare le procedure per una adozione. Quante cose sono cambiate, con quanti sentimenti e conflitti interiori ci siamo dovuti confrontare nei lunghi mesi di attesa tra la domanda al Tribunale dei Minori di Roma del 27 gennaio 2009 e il riconoscimento dell’idoneità ad ottobre 2010. Siamo giunti alla decisione di adottare un bambino dopo un lungo e sofferto percorso di tentativi di genitorialità naturale. Non è stato un ripiego, ma una scelta ponderata e voluta da entrambi.
Non avremmo mai immaginato, all’inizio, pur sapendo quanto fosse difficile, quello che avremmo affrontato e quanto, il tutto ci avrebbe arricchito, anche come coppia.
Sconforto talvolta, attesa tanta, infinita pazienza, accurata informazione, solidità di coppia sono gli elementi che non ci hanno mai abbandonato in quei 27 mesi. Decidemmo di dare mandato all’Ente Enzo B per l’adozione internazionale dopo aver incontrato una decina di altri enti, uscendo spesso sconfortati da questi incontri. L’unico che era vicino alla nostra idea di adozione era appunto Enzo B. Poco dopo un mese aver firmato il mandato, Enzo B ci chiamò per proporci il paese, ossia la Nigeria e noi accettammo. Tempo 4 mesi e ci chiamarono per proporci un abbinamento, fratello e sorella di 15 mesi e 2 anni. Dopo lo stupore iniziale, convinti che non ci fosse possibilità di adottare coppie di fratelli in un paese africano, accettammo felici. I nostri due bambini sono stati probabilmente abbandonati e l’orfanotrofio a Lagos, gli ha dato due nomi nuovi e come cognome quello del direttore dell’istituto. Decidemmo di mantenere i loro nomi, anche se non sono quelli veri, e di aggiungerne due: Julia Blessing e Samuel Miracle. Saremmo dovuti partire a maggio 2011 ma la nostra partenza venne ritardata a giugno, poi a luglio, poi ad agosto, per non sapere più nulla della partenza per tanti mesi, che hanno pesato come macigni sul nostro equilibrio psico-fisico. Purtroppo abbiamo scoperto alla fine che il ministero nigeriano aveva condizionato l’autorizzazione all’adozione dei nostri bimbi alla contestuale adozione di una bimba di 10 anni cui loro erano molto legati. Finalmente a maggio 2012 Enzo B ci chiamò per spiegarci il tutto e dirci che saremmo partiti insieme ad un’altra coppia di Bergamo, cui la bambina di 10 anni era stata abbinata. E finalmente il 17 maggio partimmo. Dal nostro punto di vista, soprattutto pensando ai bambini, un anno sprecato. Ma finalmente partivamo, facendo scalo a Parigi dove incontrammo la coppia di Bergamo ed un’altra coppia di Milano, alla seconda adozione nigeriana. Riconoscere le altre due coppie fu un attimo. Ci sentimmo autentiche minoranze. La coppia di Milano, Elena e Marco, raccontarono della precedente esperienza e ci diedero alcuni consigli. Ma i nostri pensieri, in quei momenti, erano tutti verso quella terra che si stava minuto dopo minuto avvicinando, ai nostri bimbi, e alle loro reazioni. Noi sapevamo di noi, avevamo avuto tanto tempo per rifletterci e metabolizzare, ma loro?

La nostra Nigeria

Il viaggio dall’aeroporto alla casa dove saremmo stati per il primo mese fu un’avventura. Le strade a Lagos sono praticamente buche con asfalto intorno, le case più ricche sono circondate da filo spinato e barriere elettrificate e accanto crescono baraccopoli, ci sono venditori di tutto in mezzo alla strada (ricariche telefoniche, pop-corn, cesoie, quadri, bibite, orologi, ecc.), lo stile di guida è folle, la mano sempre sul clacson, sorpassi e manovre da pista Indy. La casa era carina, sicuramente molto superiore agli standard nigeriani ma poi alla fine non ci trovammo bene con la proprietaria e dopo un mese andammo a vivere in un residence. Il caldo è insopportabile, sembra di vivere dentro un phon. La città vive perennemente con il problema della corrente elettrica, che manca spesso durante la giornata, costringendoli a vivere precariamente. Ma sembra che ci siano ben abituati. Probabilmente nelle baraccopoli non hanno nemmeno questo problema.

E’ impossibile trovare le parole per descrivere davvero i luoghi che abbiamo attraversato ogni giorno. Baracche, fango al posto di strade, bimbi nudi, uomini che fanno la pipì in mezzo la strada come se fosse il bagno di casa loro, venditori di tutto, mezzi che ti sfrecciano ad ogni lato e da ogni luogo, clacson continui, urla, il grigio del cielo e i colori degli abiti delle donne, ragazze bellissime e matrone oversize, la discarica a cielo aperto con la spazzatura che ha sfondato in più punti il muro di cinta ed è riversata sulla strada, i marciapiedi occupati da serre private dove vengono coltivate piante e alberi di ogni tipo, scoli lungo i marciapiedi di acqua probabilmente bianca ma forse anche quella delle fogne, gli impiegati della pulizia delle strade che lo fanno con una piccola ramazza e la paletta, manco dovessero pulire il proprio salotto, venditori di carne o pesce su banchetti di legno in mezzo alla strada impegnati a scacciare le mosche, il traffico caotico con gli automobilisti che non cedono un millimetro e rischiano immani ingorghi, contromano di moto, macchine e TIR. Questo e altro è Lagos.

Una nuova famiglia

Il giorno seguente il nostro arrivo ci venne a prendere una collaboratrice dell’avvocato nigeriano che ha seguito tutte le nostre pratiche in Nigeria per portare noi e la coppia di Bergamo all’orfanotrofio. Dopo  due ore di viaggio, ci fu l’incontro con il direttore ed una sua assistente e poi i tre bimbi. La pioggia ci costrinse ad un incontro in una stanzetta. L’emozione fu forte per tutti. Julia Blessing, la nostra bimba di 3 anni si scioglie solo dopo molto tempo, Samuel Miracle, il bimbo di 16 mesi è sempre imbronciato. Qualche caramella, un po’ di carezze e di affetto, contribuirono a sciogliere un po’ la tensione. Ci è voluto un bel po’ di tempo per metabolizzare le emozioni di quel primo incontro. Non è stato facile entrare in confidenza con due bimbi così piccoli, aprire una breccia; allora pensammo di  avere uno stretto contatto fisico con loro, parlargli, accarezzarli, calmarli, perché loro erano ancora più spaventati di noi. Non dissero una parola, solo Julia qualche cenno con la sua testa, dentro la quale chissà quali pensieri giravano. Il giorno dopo tornammo in orfanotrofio e trovammo i bimbi completamente cambiati. Soprattutto Julia che si dimostrò molto coccolona, cercando sempre la nostra presenza, gli abbracci, le carezze. Passava le mani sulla testa del papà per sentire i capelli, giocava con la mamma, rideva, canticchiava, certo complici caramelle e palloncini a gogò.

In definitiva in quell’orfanatrofio non se la passavano male, o almeno molto meglio di quello che pensavamo. Non sembravano denutriti (magari malnutriti), non vivevano in ambienti sporchi e erano nel complesso ben curati e puliti. Scoprimmo che Samuel in realtà veniva chiamato Okonkuo (il significato è sempre Miracolo in lingua Igbo, credo). Samuel era più “Romeo er mejo gatto del Colosseo”; se ne andava in giro da solo, indipendente, giocava da solo o decideva lui con chi e quando. Un boss del quartierino. Fantastico. Julia invece cercava sempre il contatto personale. Anche quando si allontanava pochi istanti per andare dalle sue amiche, poi attraversava il cortile di corsa per buttarsi tra le braccia della mamma. Quando ad un certo punto non l’ha più vista è corsa tra le braccia del papà piangendo disperata e cercando “Mamy”. Tenerissima. Da sciogliersi. Quando è stato il momento del mangiare per loro, ha imboccato il papà dividendo il suo cibo (mangiano piccantissimo). E’ una bimba molto generosa, divide tutto con i suoi amici e perorava la causa per un altro palloncino, un’altra caramella che poi dava loro. Samuel era invece seduto a terra con la sua ciotolina e affondava le mani nel riso. Appena ha capito che si mangiava, si è precipitato dentro. Il primo della fila!! Fu una giornata molto emozionante che si concluse con Julia che piangeva e non voleva che andassimo via, nonostante tutte le promesse. Okonkuo era forse ancora troppo piccolo e troppo autonomo per capire meglio quello che sta succedendo e chi erano questi nuovi personaggi che gli ruotavano intorno. Le cose accadono così, all’improvviso; i bambini sono sempre in grado di sorprenderti e anche quando credi di non farcela o hai paura di come fare, loro riescono a renderti tutto meravigliosamente più facile. Il giorno seguente dopo una serie di pratiche da sbrigare alla sede della Life Foundation, sede dell’avvocato che ci rappresenta, siamo andati dai bimbi. Li abbiamo trovati a scuola e dopo un po’ sono potuti venire da noi. Okonkuo era come il solito, spavaldo, mentre Julia era un pò sulle sue.
Abbiamo tirato fuori i giochi, l’album da colorare e si è messa a dipingere, mostrando a tutti quanto era brava. Okonkuo fu la sorpresa del giorno. Tutto il tempo a giocare con il papà con alcuni pupazzetti di cani, ma sopratutto ci cercava, voleva salire in braccio, farsi lanciare in aria. La cosa più emozionante è stata quando lui da una parte del cortile ed il papà dall’altra, l’ha chiamato e lui gli è corso incontro tuffandosi tra le sue braccia aperte. Non ce lo aspettavamo, ed invece è stata la cosa più bella della giornata.
Al momento dei saluti, Julia tornò seria e un pò imbronciata (quando ride era una bellezza allo stato puro, e lo è ancora) mentre Okonkuo era sparito e non siamo riusciti a salutarlo. Per due giorni non andammo in orfanatrofio e quando tornammo il viaggio per arrivarci fu da incubo. Trovammo dei lavori con una fila da Salerno-Reggio Calabria ad Agosto. Poi deviazione all’interno delle zone abitative, con strade di fango, baracche e tanta miseria. Ma finalmente arrivammo e ci aspettavano tutti e due a braccia aperte. Okonkuo, sempre più aperto e affettuoso, cercava anche lui le sue dosi di coccole, con moderazione ovviamente, ma sempre di più. Erano una forza della natura, e Okonkuo un Highlander.

Anche il nostro approccio al cibo nigeriano fu estremamente positivo con Marco felicissimo visto quanto piccante si mangia. Abbiamo scoperto il Naf Naf Kilishi, carne secca di manzo cosparsa di peperoncino, pepe, aglio, cipolla e altre diavolerie ma anche il Moi Moi, semolino con uovo sodo cotto in una foglia di banano e la Suya, carne piccante con riso. Il primo segno tangibile alla nuova famiglia che si stava formando lo avemmo il giorno che andammo al Ministero, che è come un ministero italiano, tanta ma tanta confusione, molta disorganizzazione, due che lavorano e altri due che leggono il giornale o giocano al telefonino davanti ad una scrivania piena di carte. Anche al Ministero mancava la luce e non avevano nemmeno il generatore. Un autentico esempio di democrazia ed egualitarismo. Nessun privilegio. Dopo una mezz’ora di attesa, noi, la coppia milanese e due coppie danesi che avevano adottato due bimbi di sei e otto mesi, fummo ricevuti dal Ministro, che ci ringraziò per quello che stavamo facendo e chiamò le coppie con il cognome delle mogli limitandosi ad una battuta per ognuno. Un evento atteso con timore e tremore e che si concluse con un nulla, se non con le solite ed immancabili foto di rito. Subito dopo ci consegnarono anche il questionario che si limitava a chiederci i dati anagrafici, le varie scuole frequentate e i lavori svolti, il nome del padre e della madre con relativa occupazione (del padre anche se era poligamo e quante mogli avesse…..), reddito e poco altro. Subito dopo ci annunciarono che ci consegnavano già oggi il foglio di rilascio dall’orfanotrofio e che potevamo andare a prendere i bimbi. Siamo tutti esplosi come al gol di Tardelli alla finale del mondiale, anche i glaciali danesi.
Non ci volevamo credere, ma era tutto vero. Erano nostri, potevamo abbandonare l’elastico al quale ci stavano costringendo da giorni. Purtroppo i tempi per la stampa della lettera si prolungarono oltre e quindi fu necessario rimandare il tutto al giorno seguente. Fu il momento di mille domande e millecinquecento paure. La sera seguente sarebbero stati con noi, avrebbero dormito con noi …… cosa avrebbero provato a trovarsi fuori dall’orfanotrofio per la prima volta.

Alla prossima puntata, parte 2.

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